Domande e risposte

Benvenutə in questo spazio di ascolto e di confronto, pensato per accogliere la tua voce.
Qui trovi un luogo virtuale in cui porre domande legate al benessere, alle relazioni e alle emozioni.
Risponderò nel pieno rispetto dei limiti della mia competenza da psicologa, senza ovviamente fornire diagnosi o indicazioni di tipo medico.

Se senti il bisogno di un chiarimento, di un confronto o anche solo uno spunto di riflessione, scrivimi. Ricorda che nessuna domanda è banale quando nasce da una nostra esigenza interiore.

Qui sotto trovi alcune tra le domande di chi mi ha già scritto.

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Vita digitale

Mio figlio è sempre al cellulare

Buongiorno, mio figlio ha 13 anni e passa ore sul cellulare. Appena torna da scuola si chiude in camera e non riesco a farlo staccare nemmeno per cena. Come posso aiutarlo senza sembrare una rompiscatole?

Carissima/o,
il cellulare non è solo uno strumento: per molti ragazzi oggi è una finestra sul mondo, un’estensione del loro spazio relazionale. Quando si chiudono in camera con lo smartphone, non stanno necessariamente “isolandosi”, ma abitando un luogo diverso da quello fisico. È comprensibile che, da genitore, ti senti tagliata/o fuori o preoccupata/o.
Invece di opporti frontalmente, può essere utile provare ad entrare nel suo mondo. Chiedi con curiosità cosa sta guardando, cosa gli piace, chi segue. Dimostrare interesse senza giudicare, apre spesso più porte di mille divieti.
Ti do un consiglio: crea un piccolo “rituale offline” da condividere ogni giorno, anche solo 10 minuti dopo cena, in cui si parla o si fa qualcosa insieme. Non presentarlo come un “togliere il cellulare” perché, in realtà, è un aggiungere presenza. A poco a poco, anche lui sentirà il valore di questo tempo condiviso.

 

Un caro saluto

Dott.ssa Sgorlon

Nota: è un tema complesso e richiederebbe molto altro spazio: questo è uno tra gli argomenti che affrontiamo nei percorsi individuali, con le famiglie oppure nei corsi dedicati ai formatori ed agli educatori.

Mio figlio pensa ai videogiochi e trascura la scuola

Dottoressa, mio figlio ha 15 anni. Appena può si attacca alla console, per giocare studia di fretta e sempre svogliato. Ho provato a nascondergli il joystick ma poi si arrabbia. Cosa posso fare?

Il gioco non è il nemico dello studio: è un bisogno, una forma di espressione, e in certi momenti persino una valvola di sfogo. Ma è vero: se il gioco diventa totalizzante e lo studio passa in secondo piano, serve un equilibrio. E per costruirlo, è più efficace il dialogo che la punizione.
Prova a partire da una domanda sincera: “Cosa ti piace di questo gioco? Cosa ti fa sentire?” Entrando nel suo mondo, potrai poi costruire con lui un patto chiaro: tempo per il gioco, ma anche per i doveri. Non un premio, non una punizione. Solo un equilibrio sostenibile.
Ti suggerisco di partire da questa attività: aiutatelo a visualizzare la sua giornata. Una lavagnetta o un’agenda con blocchi orari (studio, pausa, gioco) può dare una forma visibile a quel tempo che oggi gli sembra “tutto uguale”. L’autonomia nasce anche da qui.

 

Un caro saluto

Dott.ssa Sgorlon

Scommetto, gioco alle macchinette e non riesco a fermarmi.

Ho 37 anni, e so che ho un problema. Quando sono nervoso o solo, mi ritrovo a scommettere o a giocare alle macchinette. Ho perso soldi, tempo, fiducia. Ma non riesco a fermarmi. Cosa posso fare?

Riconoscere di avere un problema non è un punto debole, è il primo passo per riprendere in mano la tua vita. Il gioco d’azzardo, soprattutto se ripetuto in momenti di stress o solitudine è più di un passatempo pericoloso e può trasformarsi in una dipendenza, che logora poco a poco relazioni, risorse, dignità personale.
Il rischio esiste, e va guardato in faccia ma non con vergogna: con consapevolezza perché le scommesse e le macchinette ti danno forse l’illusione di controllo, di scarico, di distrazione ma lasciano indietro ferite invisibili che, nel tempo, si sommano.
Se senti di non riuscire a fermarti, è il momento di chiedere aiuto ad uno specialista ma puoi iniziare con questo primo esercizio: inizia a mappare i tuoi automatismi. Prendi carta e penna (o usa il blocco note del telefono) e annota, per una settimana, ogni volta che compare l’impulso: che ora è? dove sei? cosa stavi pensando o provando un attimo prima? Questo esercizio non basta da solo a cambiare tutto, ma ti restituisce potere. Ti aiuta a intercettare il meccanismo prima che si attivi in automatico.
È però importante chiedere aiuto: non è un salto nel buio ma un ritorno a te stesso

Un caro saluto

Dott.ssa Sgorlon

Perché la mia vita non è come che vedo sui social?

⁠Quando apro Instagram o Facebook vedo persone sempre felici, belle, in vacanza, con famiglie sorridenti. So che sui social si mente ma ugualmente mi sento stanca, frustrata, inadeguata. Cosa devo fare per non sentirmi così?

Sui social, vediamo vite ritoccate. Non la realtà, ma la sua versione più curata, filtrata, scelta. È naturale confrontarsi e sentirsi a volte inadeguati, ma ricordati: nessuno pubblica i momenti di solitudine, la fatica, il dubbio e il confronto è falsato in partenza.
Non è sbagliato usare i social: lo diventa quando ci lasciamo definire da ciò che vediamo, la chiave è sviluppare uno sguardo critico, senza rinunciare alla leggerezza che certe immagini possono offrire.
Vorrei darti un consiglio. Ogni tanto, chiediti dopo aver scrollato a lungo: “Come mi sento adesso?”. Se la risposta è “peggio”, fermati, respira e torna a fare qualcosa che ti nutra davvero. Se trovi difficile decidere cosa fare e torni sul tuo smartphone, allora prepara un elenco di piccole cose che corresti fare per te: una passeggiata, leggere quel libro fermo sul comodino da tempo, preparare un piatto speciale. Quando vorrai interrompere lo scrolling, potrai scegliere una attività alternativa da questo elenco. L’autenticità si coltiva anche così.

 

Un caro saluto

Dott.ssa Sgorlon

Non capisco niente di quello che i miei figli fanno sul telefono

Cara dottoressa, sono Elide. Mia figlia ha 16 anni, mio figlio 13. Sono sempre al telefono, ma quando chiedo cosa stanno facendo, rispondono sempre “niente”. Usano parole strane, nel telefono hanno cose che non conosco, messaggi che non capisco… Mi sento esclusa. 

Carissim Elide,

ti capisco: il linguaggio digitale cambia alla velocità della luce e a volte sembra di parlare lingue diverse rispetto a quella usata dai nostri figli. Il problema, però, non è la tecnologia ma la mancanza di ponti: i tuoi figli non vogliono necessariamente escluderti… ma se sentono giudizio o distanza, si chiudono.
Non serve essere esperti di app ma bisogna diventare curiosi. Anche solo un “Mi fai vedere come funziona questa cosa?” può aprire un dialogo sorprendente e il telefono può diventare uno strumento per avvicinarsi, non solo per separarsi.
Puoi iniziare con questo consiglio: proponi, una volta a settimana, che siano loro a spiegarti una cosa “da telefono”, come se fossi tu quella che deve imparare. Ribaltare i ruoli crea connessione e fa sentire i tuoi figli ascoltati per davvero.

Un caro saluto

Dott.ssa Sgorlon

Voglio che mio figlio giochi di meno ai videogame ma non voglio rovinare il nostro rapporto

Buongiorno dottoressa, mio figlio di 12 anni passa ore davanti alla PlayStation ogni giorno. Ho provato a imporgli dei limiti, ma si arrabbia o si chiude in sé stesso. Mi chiedo se sto sbagliando qualcosa ma non so cosa fare. Come posso aiutarlo a stare meno tempo davanti allo schermo senza rovinare il rapporto con lui?

Carissimo/a,

è comprensibile sentirsi disorientati quando i nostri tentativi di protezione sembrano generare distanza o conflitto. Il tempo trascorso davanti agli schermi è oggi una delle sfide più diffuse nella relazione genitore-figlio, soprattutto in età preadolescenziale, quando il gioco online non è solo un passatempo, ma spesso una forma di socialità e appartenenza.
Il punto non è solo “togliere tempo allo schermo”, ma offrire alternative significative. Imporre regole rigide senza coinvolgimento può alimentare la resistenza, mentre costruire un patto educativo condiviso – dove entrambi, genitore e figlio, partecipano attivamente – favorisce la cooperazione.

Ti invito a provare a spostare il dialogo da “quanto tempo giochi?” a “che cosa ti piace di più di quel gioco?”. Mostrare interesse sincero può aprire uno spazio nuovo, dove lui si sente visto, non giudicato. Da lì, sarà più facile concordare insieme dei tempi equilibrati, magari usando strumenti come un’agenda settimanale con momenti dedicati ad altre attività (sport, uscite, tempo in famiglia).
Non stai sbagliando: stai cercando la strada del dialogo e ogni tentativo di comprendere è già un passo importante nella direzione giusta.

Devo installare una app che controlla il telefono di mio figlio?

Buonasera dottoressa, mio marito vuole installare un’applicazione per controllare il telefono di mio figlio. Ha 13 anni, e a volte neanche io mi fido delle chat o dei contenuti che guarda ma non voglio nemmeno invadere la sua privacy. Come posso regolarmi?

Carissima,

è una domanda che molti genitori si pongono, ed è legittimo voler proteggere i propri figli in un mondo digitale che spesso espone anche i più giovani a rischi reali. Tuttavia, il confine tra protezione e controllo è sottile, e si gioca tutto sul tipo di relazione che desideriamo costruire.
Installare un’app di monitoraggio senza dirlo può minare la fiducia reciproca. È invece più utile ragionare insieme sull’uso responsabile del telefono: spiegare i motivi delle proprie preoccupazioni, ascoltare il punto di vista di tuo figlio e, se necessario, concordare insieme alcune regole condivise (come l’orario d’uso o la visibilità dei profili social).
Non si tratta di “spiare”, ma di educare alla consapevolezza. Un adolescente ha bisogno di sapere che la fiducia si conquista, ma anche che l’adulto c’è, vigile e presente, non per controllare, ma per sostenere.

Chiedo a mia figlia di spegnere lo smartphone ma risponde che anch'io lo uso sempre

Buonasera dottoressa Sgorlon,

mia figlia passa tantissimo tempo al telefono ma, quando glielo dico, lei mi risponde che anche io sono sempre con lo smartphone in mano. Ma per me è diverso, io lo uso solo come passatempo. Cosa devo fare?

Carissimo/a,

il modo in cui noi adulti utilizziamo la tecnologia è il primo messaggio che passa, ben prima delle parole. I figli osservano, e ciò che vedono ha un impatto diretto su come interiorizzano le regole.
Essere credibili non significa essere perfetti, ma coerenti. Può essere utile ammettere apertamente che anche noi fatichiamo a staccarci dallo schermo, e usare questa consapevolezza come punto di partenza per un impegno comune: “Stacchiamo entrambi il telefono durante la cena?”, oppure “Domenica proviamo una giornata no-screen?”. Sono piccoli gesti che dimostrano coerenza e costruiscono fiducia.
Educare al digitale parte da noi: non serve colpevolizzarsi, ma essere pronti a rimettersi in gioco.

Un caro saluto

Dott.ssa Sgorlon

A tavola tutti usano il cellulare

Cara dottoressa, sono Luana. A volte a tavola siamo tutti davanti a uno schermo: mio marito guarda il cellulare, i ragazzi giocano e io finisce che mi metto a leggere i messaggi. Poi ci lamentiamo di non parlare più. Come possiamo ritrovare un po’ di presenza?

Cara Luana,

la scena che descrivi è ormai comune in moltissime famiglie. Non c’è colpa ma un’abitudine che si è radicata lentamente, senza che nessuno se ne accorgesse davvero. È importante essere consapevoli che i ragazzi vivono il mondo digitale in maniera differente da come lo viviamo noi ma è importante per tutti riportare l’attenzione al presente, a partire da piccole scelte quotidiane.
Ad esempio, potete stabilire insieme dei “momenti digital-free”, come la cena o un’ora serale in cui spegnere tutti i dispositivi. Non per obbligo, ma come rituale di connessione familiare. Potreste anche creare uno spazio “fisico” per lasciare i telefoni durante questi momenti, magari con una proposta ludica o conversazionale per sostituire l’abitudine dello schermo.
Non si tratta di demonizzare il digitale, ma di ritrovare l’equilibrio. La qualità delle relazioni nasce dalla presenza autentica, e ogni gesto che va in questa direzione è già un cambiamento importante.

 

Un caro saluto

Dott.ssa Sgorlon

 

Le app per il controllo, come Family Link

Dottoressa, sono una madre single e ho attivato Family Link per monitorare il telefono di mio figlio di 11 anni. Ma ora si lamenta continuamente: dice che mi comporto da ‘poliziotta’. Però io ho paura, se lui ha bisogno come faccioad essere resente?

Carissima,

Family Link può essere uno strumento utile ma va inserito in un progetto educativo, non usato come unica forma di controllo. Quando un figlio percepisce solo il lato punitivo del monitoraggio, si rompe il patto di fiducia e quello che nasce come protezione può diventare fonte di conflitto.
La chiave sta nella trasparenza: spiega apertamente perché hai scelto di usarlo, ascolta le sue reazioni e cerca, se possibile, di stabilire delle regole condivise. Per esempio: “Ti lascio più libertà nel pomeriggio se prima mi mostri come usi le app” oppure “Proviamo a disattivarlo per una settimana, ma con l’impegno di parlarne ogni sera”.
Family Link non deve sostituire il dialogo, ma integrarsi ad esso. L’obiettivo non è controllare per sempre, ma accompagnare verso l’autonomia digitale.

Mia figlia è ossessionata dai cuori e dai follower

Buongiorno, sono Marco. Ho una  figlia di 14 anni che controlla in continuazione i like su Instagram e TikTok. A volte cancella i post se non ottiene abbastanza cuori. Le ho detto che non contano, ma lei non mi ascolta, sembra ossessionata. Cosa posso dirle? Devo preoccuparmi?

Caro Marco,

quella dei like è diventata una vera e propria unità di misura dell’autostima per molti adolescenti. Nella fase della crescita in cui l’identità si costruisce attraverso lo sguardo degli altri, il “mi piace” digitale diventa la conferma di valere, essere visti, essere accettati.
Non si tratta di vanità superficiale, ma di un bisogno più profondo: appartenere, essere riconosciuti, sentirsi parte di qualcosa. Il problema nasce quando il numero di like inizia a determinare il valore percepito di sé, portando ansia, insicurezza e una dipendenza dal giudizio altrui.
Il tuo ruolo, come genitore, non è quello di svalutare ciò che lei vive come importante, ma di affiancarla nella costruzione di un valore personale che non dipenda solo dallo schermo. Lodane i talenti, incoraggiala nelle relazioni reali, proponi esperienze che la aiutino a sentirsi vista per ciò che è, non per quanti cuori ottiene.
Anche nel mondo digitale, serve lo stesso sguardo che offriamo nella vita reale: uno sguardo che dice “ti vedo, e vali anche quando non ti applaude nessuno”.

Adolescenza

Mi sento trasparente

Ciao dottoressa, sono Giulia. Ti scrivo perché io non esisto. A scuola sono gentile ma nessuno mi cerca mai. Succedono le cose e io non le so mai. Nessuno mi prende in giro ma forse sarebbe meglio. Ho 15 anni, se fossi bella avrei un sacco di amici come le altre. Ma io voglio essere me stessa e avere amici, non essere sempre messa da parte. Sono stanca di soffrire così.

Cara Giulia,
sentirsi invisibili è una delle esperienze più dolorose per chi ha tanto da offrire come nel tuo caso. Ti senti come se il tuo spazio nel mondo non fosse riconosciuto come vorresti.
Ciò che provi è comprensibile perché siamo esseri che si relazionano, che hanno bisogno di essere visti, ascoltati e cercati. Ricordati però che il valore di una persona non si misura in base a quante persone la cercano ma da ciò che quella persona ha dentro. Il pensiero che hai scritto è di una persona profonda e sensibile.
Forse ora ti trovi in un contesto in cui non ti rispecchi alla perfezione, e non per colpa tua, ma perché a volte il mondo intorno a noi non è pronto ad accogliere chi non si conforma ai modelli e ai trend. Prova a coltivare quello che ti appassiona e che ti fa sentire viva. Vedrai che, magari proprio in questi ambiti, incontrerai chi vedrà in te proprio quella luce che adesso sembri vedere solo tu, e sarà stupendo.
Ti propongo un piccolo esperimento (è una delle cose che a volte suggerisco anche nel mio studio): per una settimana scegli di fare intenzionalmente ogni giorno un piccolo gesto che sia “fuori copione” rispetto alle tue abitudini, qualcosa che non fai di solito. Ad esempio alza la mano in classe anche se non sei sicura al 100% della risposta che vuoi dare, prova a fare una domanda a qualcuno a cui non chiederesti nulla, o indossa qualcosa che ti faccia sentire speciale. Fallo anche se ti sembra strano o se ti mette un po’ a disagio. Ricordati di annotare cosa è successo e come ti sei sentita in quei momenti.

Sembra un piccolo passo, ma spesso è proprio il movimento che arriva a rompere l’invisibilità percepita.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon

Non so più se siamo davvero amiche

Buongiorno dottoressa, ho 14 anni. Avevo una migliore amica ma ultimamente è cambiata. Davanti agli altri fa battute su di me e racconta cose mie private come se fosse uno scherzo. Io le ho detto che ci resto male, ma lei dice che sono esagerata. Poi magari mi ignora per giorni e quando le serve qualcosa torna a cercarmi. Quando siamo da sole sembra tutto normale ma appena ci sono gli altri non mi guarda più, quindi non so se è ancora mia amica ma io non voglio rimanere da sola. Le voglio bene ma mi fa stare male.

Carissima,
quello che mi racconti è più frequente di quanto tu possa pensare, anche se questo non lo rende di certo meno doloroso.
Capita che le relazioni all’inizio siano molto belle, come la tua che è nata con complicità, ma poi col tempo ci facciano soffrire. In questi casi è importante essere onesti con noi stessi e chiedersi se quel legame ci fa ancora stare bene.
È assolutamente possibile volere bene a qualcuno e allo stesso tempo sentire che qualcosa non funziona più. I sentimenti non spariscono all’improvviso ma col tempo possono cambiare. E quando cambiano i sentimenti, spesso cambiano di conseguenza anche i rapporti.
L’amicizia vera non dovrebbe farci sentire mai sotto esame o in difetto. Non sei tu quella “troppo sensibile”, sei semplicemente una persona che sta cercando di capire cosa le fa bene e cosa no, questo è un segnale di maturità, non di fragilità.
Forse non puoi controllare come lei si comporta, ma puoi decidere come stare in quella relazione. A volte proteggersi significa anche prendere le distanze, almeno per un po’ per provare così a capire cosa vuoi davvero.
Ti propongo un piccolo esercizio (è una strategia che suggerisco spesso quando ci si sente confusi in una relazione): scrivi una lettera alla tua amica, senza però consegnargliela. Metti nero su bianco in maniera assolutamente sincera, tutto quello che vorresti dirle, ad esempio cosa ti ha ferita, cosa ti manca e cosa vorresti cambiasse. Prova a rileggerla dopo qualche giorno, ti aiuterà a capire meglio cosa provi davvero, e se c’è ancora spazio per costruire o se è tempo di lasciar andare.

Guardarci da fuori aiuta spesso a vedere più chiaramente la situazione che viviamo. Nel caso ti accorgessi che ciò che ricevi non ti fa crescere ed essere serena, allora forse non stai perdendo un’amicizia, ma stai facendo spazio per qualcosa di più importante per te.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon

Voglio essere perfetta

Ho 16 anni e da fuori sembra che tutto vada bene perché ho dei bei voti, sono educata e faccio sport. Dentro però mi sento vuota e ho sempre paura di deludere qualcuno. Cerco di essere come gli altri si aspettano che io sia, ma così mi sembra di recitare un ruolo ogni singolo giorno della mia vita. Quando resto sola crollo ti ho delle crisi di pianto fortissime. Ho paura di provare a smettere di essere perfetta, perché ho paura che nessuno mi vorrebbe più bene.

Carissima,
l’idea che per essere amata si debba essere perfetta, senza sbavature, sempre forte, è una trappola purtroppo molto comune della nostra società. L’amore vero non si conquista però con la perfezione, si merita semplicemente perché si esiste. Tu meriti affetto, ascolto e comprensione anche nei tuoi momenti più fragili e non solo quando riesci in tutto.
Cercare di seguire un copione scritto da altri, adulti e coetanei, giusto per non deluderli e per non perdere la loro approvazione, è un peso enorme da portare addosso, soprattutto alla tua età. Il vuoto che senti dentro e quella stanchezza che ti assale quando rimani sola, sono probabilmente la modalità in cui la parte di te più vera ti sta chiedendo di essere finalmente ascoltata.
Ti propongo un esercizio (è una pratica che a volte consiglio quando ci si sente incastrati nell’immagine che gli altri hanno di noi): prenditi una settimana, e ogni sera scrivi tre cose che hai fatto durante quel giorno solo per te stessa, e non per essere brava, non per essere lodata da qualcuno e neanche per evitare un rimprovero. Anche gesti piccoli come un pensiero che hai avuto, una scelta che ti ha fatto sentire libera dentro o una cosa che ti ha fatto sorridere. Rileggile solo alla fine della settimana, tutte insieme.

Non devi essere tutto per tutti, devi cominciare ad essere tu, solo per te stessa.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon

Mi faccio mille film e poi ci resto male
Ciao, sono L., sono un ragazzo, ho 15 anni. Le scrivo perché spesso mi faccio dei film mentali, penso che qualcuna sia interessato a me o che un’amicizia stia diventando più forte, ma poi mi accorgo che era tutto nella mia testa. Mi illudo e poi ci sto male per giorni, non esco di casa, voglio solo stare a letto. Mia madre mi dice che devo smettere di crearmi aspettative, ma come si fa a non aspettarsi troppo?
Caro L,
intanto ti ringrazio per il coraggio con cui hai raccontato qualcosa che in realtà accade anche quando si è adulti. Essere sensibili spesso vuol dire avere una mente vivace e creativa, è facile che la fantasia in questi casi prenda il volo. Non c’è nulla di sbagliato in questo, il problema nasce quando confondiamo ciò che immaginiamo con quello che davvero sta succedendo.
Spesso “farsi film” è il modo attraverso cui la nostra mente cerca di colmare un vuoto, di attenzione, di affetto o semplicemente di conferme. E allora anche un sorriso può sembrarci una promessa, così come un gesto qualunque può diventare per noi il primo capitolo di una storia che vorremmo vivere.
Ti consiglio di fare un esercizio, quando ti accorgi che la tua mente sta creando una situazione da film, prova a trasformarlo in una storia vera e propria, ma per iscritto. Scrivila come se fosse un racconto, con i personaggi, i dialoghi e lo svolgimento delle scene. Poi rileggila e chiediti quanto ci sia di reale e quanto tu abbia costruito qualcosa.
Questo ti aiuterà a dare un confine tra realtà e desiderio e non di certo smettere di immaginare, quello sarebbe davvero un peccato! Vedrai che a poco a poco diventerai sempre più capace di aspettarti dagli altri solo quello che ti stanno davvero offrendo.
Sognare è bellissimo, ma saper distinguere i sogni dalla realtà ci aiuta a vivere ancor meglio.

 

Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Vorrei reagire, ma la paura mi blocca
Ciao, sono molto arrabbiato con me stesso perché quando qualcuno è aggressivo con me mi blocco. Ho 15 anni ma succede da sempre. Vorrei difendermi, sia verbalmente che fisicamente. Dentro mi monta una rabbia fortissima ma poi arriva la paura e non riesco a fare niente. Resto zitto, fermo, e poi mi sento debole, non reagisco. Vorrei trovare la forza di picchiare chi è prepotente con me.

 

Caro ragazzo,
non c’è niente di sbagliato nel sentire le emozioni che descrivi. La rabbia, la paura e il senso di blocco che può conseguirne fanno parte dell’essere umano.
Quando qualcuno ci aggredisce, è normale voler reagire, volersi difendere e desiderare di far valere il nostro spazio. Quando non ci si riesce arriva una frustrazione profonda, un senso di impotenza che può far male quanto l’offesa stessa che abbiamo ricevuto, se non di più. È importante però che tu sappia che non è debole chi si blocca, perché il tuo corpo e la tua mente stanno solo cercando di proteggerti nel modo che conoscono.
Quella reazione che ti fa restare fermo si chiama “freezing”, ed è una risposta istintiva, non un errore, è una delle tre risposte all’emozione della paura. È come se il tuo corpo ti dicesse di stare attento, ti mettesse in guardia da qualcosa di pericoloso, ti dicesse di stare immobile per riflettere e capire cosa fare. Non sei tu a scegliere di fermarti, però puoi imparare, con il tempo a sentirti più preparato e meno solo.
Ti propongo un esercizio: immagina una situazione in cui ti sei sentito bloccato, e prova a riscriverla come se tu fossi un personaggio di un film. Inventa tre possibili finali diversi, descrivi le scene e scrivi anche le possibili conseguenze delle tue diverse azioni. Rileggili e prova a chiederti quale tra i finali descritti ti fa sentire maggiormente in pace con te stesso. Allenare la mente in questo modo non toglie di certo la paura che provi, ma ti aiuta a scoprire delle risorse nuove che forse non sapevi di avere.

 

Non serve diventare violenti per sentirsi forti. La vera forza la trovi quando impari a stare dalla tua parte anche se il cuore batte forte e la rabbia monta, e tu, credimi, sei già molto più forte di quanto pensi.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Non riesco più a studiare
Sono una Silvy, frequento il terzo anno del liceo. Ho sempre preso bei voti ma adesso sono sempre stanca, non ho voglia di fare niente. Apro il libro e mi distraggo, poi mi sento in colpa perché so che i miei genitori fanno tanto per me, ma alla fine non riesco a reagire. I miei sono preoccupati e mi dicono di reagire ma non capisco cosa mi stia succedendo. Come si fa a ritrovare la voglia?

 

Carissima,
quello che stai vivendo ha un nome preciso e si chiama “saturazione”. Succede quando per troppo tempo rimaniamo in tensione, e cerchiamo di funzionare bene secondo quello che gli standard dicono, finché qualcosa dentro di noi, spesso nel completo silenzio, inizia a rallentare. Non è pigrizia e non è un difetto, è solo un messaggio che corpo e mente ti stanno dando, chiedendoti di cambiare ritmo.
È importante che tu sappia che la motivazione non è una linea retta, ha i suoi alti e i suoi bassi, ed è normale perdere per un po’ quel senso di slancio che sei solita sentire. Stai tranquilla che da questo momento difficile può nascere un modo nuovo di affrontare lo studio, magari più tuo e che si riallinea alla tua volontà e al tuo nuovo ritmo.
Ti propongo di fare un esercizio semplice: per una settimana prova a sostituire la tua “to-do list” con una “done list”. Invece che scrivere cosa devi fare, alla sera prova a scrivere cosa sei riuscita a fare davvero, anche se è poco e anche se ti sembra tutto banale. Potrebbe essere ad esempio”ho letto una pagina del libro di scienze”, oppure “ho sistemato la scrivania della mia camera”, oppure ancora “mi sono concessa una pausa senza sentirmi in colpa”.
Vedrai che, giorno dopo giorno, comincerai a vedere i tuoi piccoli progressi, e da lì potrai ricostruire la fiducia e, pian piano, anche la voglia.
 
Non devi tornare per forza quella che eri, magari  è arrivato il momento di diventare quella che sei adesso, con nuovi equilibri, nuovi bisogni e un nuovo modo di stare al mondo.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Mi vergogno del mio corpo
Sono Sara e ho 14 anni. Ti scrivo perché mi vergogno del mio corpo e mi sento sbagliata, non so cosa fare. Quando mi guardo allo specchio vedo solo difetti mentre le altre ragazze sono sempre più belle di me. Evito di mostrarmi, soprattutto in palestra o in piscina. Ho provato a parlarne ma nessuno capisce. Mi ripetono che sono fissata, che sono bella e che i difetti li vedo solo io. Perché nessuno capisce?
Cara Saretta,
le parole che hai scritto raccontano qualcosa importante e di sicuro tante persone si percepiranno nella tua situazione. Sentirsi a disagio nel proprio corpo, specialmente durante l’adolescenza, è davvero una sensazione diffusa, più di quanto tu possa credere, e hai ragione, molti non ne parlano. Non sei “fissata”, stai vivendo un momento delicato, in cui il corpo cambia, e con lui anche il modo in cui lo percepiamo.
Viviamo in un mondo che ci spinge a confrontarci, a cercare approvazione da chiunque, a giudicarci senza sosta. È importante però ricordare che il corpo non è un oggetto da valutare, è il luogo in cui abiti, attraverso il quale percepisci. Merita rispetto e gentilezza, non condanne.
Ti propongo un piccolo esercizio (può sembrare strano all’inizio, ma può fare la differenza): ogni sera, per una settimana, scrivi su un quaderno una cosa che il tuo corpo ti ha permesso di fare quel giorno, come ad esempio camminare, abbracciare qualcuno, ascoltare la musica, ridere, respirare l’aria fresca, riposare. Non devono essere cose eccezionali, ma reali.
Questo ti aiuterà a spostare l’attenzione da come appari a ciò che vivi realmente, e questo ti ricorderà che il tuo valore non sta in un dettaglio estetico, ma in tutto ciò che sei.

 

Con il tempo, inizierai a guardarti con occhi più gentili, e quel “sentirti sbagliata” lascerà spazio a te stessa, così come sei.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Nessuno si accorge che sto male
Buongiorno dottoressa, mi chiamo Matteo e ho 17 anni. Fingo sempre di stare bene, faccio battute e faccio ridere i miei amici ogni cosa, ma adesso mi pesa. A volte mi sento vuoto, non ho più voglia né di fare e né di dire niente. Nessuno però sembra accorgersene, io sono sempre quello simpatico, quello che sorride e che dà le spacche sulle spalle agli altri. Mi piacerebbe smettere di fingere, ma quando lo faccio mi dicono che sembro depresso e noioso. Come faccio?

 

Ciao Matteo,
il peso di sembrare sempre “a posto”, mentre dentro ci si sente a pezzi è davvero è una sensazione difficile da digerire. Far ridere gli altri non significa essere felici e non tutti lo capiscono. A volte è solo un modo per non far preoccupare nessuno, oppure lo si fa per non mostrare ciò che si teme non venga capito.
La verità è che anche chi appare forte ha il diritto di sentirsi fragile.
Mi piacerebbe che provassi a fare un esercizio che può aiutarti a riconoscere le emozioni senza giudicarle: prenditi un momento durante la giornata e per una settimana prova a completare queste tre frasi:
1. Oggi mi sono sentito…
2. Avrei voluto che qualcuno si accorgesse che…
3. Mi sono nascosto dietro a…

 

Scriverle ti aiuterà a dare voce a ciò che provi, anche se non lo dici ad alta voce. A volte il primo passo per essere visti è guardare se stessi.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Quando sbaglio mi sento un fallimento
Sono un ragazzo di 16 anni. Prima, quando ero piccolo, era tutto facile. Ora ogni errore, anche piccolo, mi fa sentire come se non valessi nulla, un vero e proprio fallimento, una nullità. Alla fine preferisco non provare piuttosto che rischiare e poi dirmi che son un fallimento. Come fanno gli altri?

 

Ciao,
il dolore che provi dopo un errore nasce dall’idea non corretta che il valore di una persona dipenda dai risultati. Non è assolutamente così, anzi, sbagliare è umano, e chi non sbaglia mai… semplicemente non sta imparando nulla dalla vita.
Ti propongo un esperimento: per ogni errore che ti capita di commettere, scrivi accanto una cosa che hai capito grazie a quello sbaglio, anche piccola. All’inizio sarà difficile ma ti aiuterà a cambiare prospettiva, da “sono fallito” a “vuol dire che sto crescendo”.

 

Ricorda che non si impara a camminare se non cadi, hai bisogno di trovare il tuo equilibrio e tu semplicemente stai camminando lungo la tua strada piena di grandi soddisfazioni.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Non vorrei essere gay
Mi chiamo P.A. sono un maschio e ho 14 anni. Da qualche mese ho capito che mi piacciono i ragazzi, ma non riesco ad accettarlo. So che deluderei chi mi sta intorno e smetterebbero di volermi bene. Però io mi sento così: se non mi accettassero cosa potrei fare? Sono sbagliato?

 

Caro P.A.,
ti ringrazio per aver trovato il coraggio di scrivermi. Non è facile parlare di ciò che si prova quando si ha paura di non essere accettati, specialmente su una tematica così intima come quella dell’orientamento sessuale e il fatto che tu lo abbia fatto dice già molto della tua forza.
Capire qualcosa di nuovo su se stessi, soprattutto qualcosa che può sembrare “diverso” da ciò che gli altri si aspettano, è un processo che richiede tempo e cura. Di certo non c’è nulla da correggere in te, ma è complicato perché il mondo intorno a noi non sempre è pronto ad accogliere tutte le sfumature delle persone.
La paura di deludere, di non sentirti amato, di essere giudicato o allontanato dai tuoi cari, è una paura che spaventa, ed è comprensibile. Voglio però dirti con chiarezza una cosa: tu non sei sbagliato, quello che provi è parte di chi sei, non c’è nulla di più splendido e naturale.
Non devi avere tutte le risposte adesso. Non devi nemmeno raccontare a tutti chi sei, se non ti senti pronto. Ma puoi cominciare da te e dalla relazione che hai con te stesso.
Ti propongo un esercizio che può accompagnarti nei momenti di incertezza: scrivi una lettera a te stesso, come se fossi il tuo migliore amico. Immagina di dover parlare a qualcuno che ami davvero e che sta vivendo quello che stai vivendo tu. Digli che va bene così com’è, che non deve cambiare nulla per piacere agli altri, che il suo valore non dipende dallo sguardo degli altri, digli che merita amore. Poi conserva la lettera e rileggila ogni volta che senti la paura prendere spazio legittimo intorno a te. A volte dobbiamo cominciare a dircere da soli le parole che vorremmo sentirci dire, perché siamo noi le persone davvero importanti. Un giorno vedrai che quelle stesse parole ti arriveranno anche dalle persone che ami. Sii quello che sei, non c’è nulla di più naturale e giusto che amare chi vogliamo.

 

Tu sei già abbastanza, esattamente così come sei.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Non so come aiutare la mia amica che sta male
Sono spid e ho 15 anni. La mia migliore amica sta male, vuole stare sempre da sola anche se mi dice che va tutto bene e io sono preoccupata. Vorrei aiutarla ma non so come e ho paura di peggiorare la situazione. Cosa posso fare per esserle vicina senza darle fastidio?

 

Caro o cara spid,
sei già un’amico/a prezioso/a perché ti stai chiedendo cosa fare, perché hai il timore di ferirla e il desiderio di esserle d’aiuto. Questi sono segni di affetto sincero e di grande attenzione. Quando qualcuno sta male e si chiude, il nostro compito è fargli sentire che non è solo, non è “tirarlo fuori” a tutti i costi dalla situazione in cui si trova.
Ti propongo un’idea semplice e rispettosa, prova a scriverle una breve lettera, anche se gliela dai a mano o la lasci nella sua borsa va benissimo. Dille che la vedi, che sei lì, che non deve per forza parlare ma che tu ci sei. A volte leggere parole scritte con il cuore può toccare punti delicati che il dialogo non riesce neanche a sfiorare lontanamente.

 

Se la situazione dovesse continuare a preoccuparti, parlane con un adulto di fiducia. Aiutare, a volte, significa anche chiedere aiuto.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon

Relazioni di coppia

 

Non ci tocchiamo più
Salve dottoressa, sono Enrica e le scrivo per chiederle un consiglio. Sono sposata con mio marito da 12 anni e ci vogliamo bene, ma da qualche anno è come se tra noi si fosse spenta l’attrazione. Dormiamo nello stesso letto ma non ci cerchiamo più. È normale o ci stiamo perdendo?

 

Carissima Enrica,
quello che descrivi è un momento molto più comune di quanto si possa pensare, soprattutto in quelle coppie che stanno insieme da tanto tempo. La volontà di stare in intimità non scompare all’improvviso, si ritira in silenzio perché non è più considerata una necessità, è consumata dalla routine, dalla stanchezza e dai tanti pensieri che si accumulano nella testa.
Il fatto che tu te ne sia accorta e che ti ponga delle domande, è già un segnale importante. Vuol dire che non stai ignorando ciò che manca e che stai provando a ritrovarlo.
L’intimità non è fatta solo di gesti fisici, è essere presenti, è guardarsi, è sfiorarsi o anche solo condividere un respiro. Quando ci si allontana spesso non servono gesti eclatanti per ricominciare a sentirsi vicini, bastano piccoli riti da fare ogni giorno. Vi consiglio di creare uno spazio tutto vostro, anche solo per dieci minuti al giorno. In quel momento potete guardarvi negli occhi, stringervi la mano e magari condividere qualcosa che non riguardi per forza la casa, i figli con gli animali da compagnia. Il nostro corpo ha bisogno di tempo per risvegliarsi e il desiderio ha bisogno di sicurezze per tornare ad essere presente.

 

Non esiste un unico modo di amare o di provare attrazione, ma ci sono mille modi per riavvicinarsi.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Litighiamo sempre per cose inutili
Cara dottoressa, scrivo perché ultimamente con la mia compagna litighiamo per tutto, anche per le cose più banali. Quando parlo con lei è come se ogni parola fosse una miccia pronta per essere accesa e per far scoppiare una nuova discussione. Ci stiamo stancando l’uno dell’altra, è normale?

 

Carissimo,
in questa situazione è facile pensare che sia il principio della fine. Litigare per sciocchezze è spesso un chiaro segnale del fatto che ci si sta cercando senza trovarsi. Quando le parole diventano taglienti forse c’è qualcosa sotto che non riesce ad emergere nella coppia, potrebbe essere una frustrazione, un bisogno o un dolore non ascoltato.
A volte un semplice “perché non hai fatto la spesa?” può nascondere un “mi sento solo”, “non mi sento visto”, “sto chiedendo attenzione ma non so come fartelo capire”.
La buona notizia è che se si vuole, tutto questo può essere disinnescato. Vi propongo un esercizio semplice: trovate dello spazio per voi e ogni sera, per 5 minuti, uno parla e l’altra ascolta senza interrompere, senza rispondere, senza correggere. Poi si invertono i ruoli. Può sembrare strano all’inizio, ma se fatto con sincerità e apertura, può riattivare canali che sembravano bloccati.

 

È necessario che torniate a sentirvi, e per sentirsi, a volte serve solo il coraggio di stare in silenzio insieme.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Ho paura di non amarlo più
Gentile dottoressa Sgorlon, mi chiedo se lo amo ancora. Non sento più entusiasmo quando lo vedo e mi sento tremendamente distante da lui. Poi però penso a tutto quello che abbiamo costruito e mi confondo ancora di più, perché lasciarlo sarebbe buttare al vento anni di condivisione e di cose costruite insieme. È normale?

 

Cara lettrice,
quando l’amore che proviamo cambia forma, ci può spaventare perché siamo abituati a riconoscerlo nei battiti accelerati, negli sguardi pieni di desiderio e nei gesti spontanei. L’amore vero però non abita solo nei momenti intensi, vive anche nel quotidiano, nella cura che a volte non si percepisce neanche più perché fatta spontaneamente e nella scelta ripetuta di esserci per l’altra persona.
Ci sono fasi della vita in cui ci si vede accanto a qualcuno che che non si riconosce più. A volte però è solo distanza emotiva che nasce dalla fatica, dal non parlarsi più davvero o dal sentirsi dati per scontati.
Prova a non chiederti subito “lo amo ancora?” ma piuttosto domandati “quando mi sono sentita davvero vicina a lui l’ultima volta?” e “che cosa ci manca per tornare a sentirci come prima?”
Ti do un piccolo esercizio da fare per una settimana: ogni sera scrivi una cosa che hai notato in lui e che hai apprezzato, anche se piccola, e rileggi tutto insieme alla fine dei sette giorni.

 

A volte non smettiamo di amare, ma smettiamo solo di accorgercene.
Un caro saluto,
Dottt.ssa Sgorlon
Non riesco a perdonare il tradimento
Buonasera dottoressa, le scrivo per chiederle se sia davvero possibile perdonare. Mio marito mi ha tradita, lui dice di essere pentito, ma io non riesco più a fidarmi di lui. Mi sento bloccata tra il dolore e ho solo voglia di lasciar andare tutto come se fosse un brutto ricordo. Come si perdona davvero?

 

Carissima,
un tradimento è un terremoto interiore oltre che una ferita nella relazione. Non c’è solo “l’altro che ha sbagliato” ma c’è anche tutto quello che si rompe dentro come l’autostima e la fiducia, così come nasce l’idea di non essere “abbastanza” per chi amiamo.
Per questo il perdono, se arriva, non è mai un atto improvviso ma un percorso lungo, spesso fatto di tappe, di pianti, di ripensamenti, di pause, di convinzioni. Soprattutto non è un obbligo, non si perdona per bontà o per apparenza. Si perdona, se si sceglie di farlo, per liberarsi dal veleno che rimane dentro, per passare oltre perché lo si vuole, per andare avanti senza rimorsi o rimpianti.
Ti propongo un esercizio: scrivi due lettere. Una a te stessa dove esprimi senza filtri cosa hai provato nel momento della scoperta del tradimento. L’altra a lui, anche se non gliela consegnerai, in cui gli racconti cosa ti aspetteresti adesso per sentirti di nuovo vista, accolta, protetta e la sola.

 

Capirai così se c’è ancora uno spazio per ricostruire qualcosa o se è arrivato il momento di lasciare andare con dignità.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Da quando è nato nostro figlio, non siamo più una coppia
Cara dottoressa, mi chiamo Gianluca, ho 41 anni e ti scrivo per chiederti un parere sulla mia situazione. Da quando è nato il nostro bimbo, io e la mia compagna sembriamo solo due genitori, non più una coppia. Non parliamo più di noi, non usciamo mai da soli. Ci vogliamo bene, ma ci siamo persi come compagni, come uomo e donna.

 

Caro Gianluca,
l’arrivo di un figlio è una rivoluzione. È sicuramente bellissima, ma molti vengono assorbiti completamente senza avere il tempo di capire dove sono collocati nel tempo e nello spazio. La coppia, se non viene trattata come tale, rischia di diventare in poco tempo solo “funzionale”. Ci sarà chi cucina per il bebè e la famiglia, chi cambia il pannolino, chi lo mette a dormire, chi si alza di notte, chi lo accompagna all’asilo, chi va a fare la spesa. Tutto sicuramente necessario, ma molto faticoso.
Eppure, dietro a quei ruoli nuovi, siete ancora voi, un uomo e una donna con le vostre esigenze, con i vostri sorrisi stanchi, con i pensieri non detti, con le carezze rimandate.
Non servono grandi gesti per ritrovarsi. Potreste scegliere una sera alla settimana da dedicare a voi due soltanto, anche se siete in casa. Una semplice cena, un film insieme, una passeggiata con il bimbo nel passeggino, se proprio non riuscite a farlo accudire per una mezz’oretta da qualcuno. La cosa fondamentale è che però non parliate solo di pannolini, di orari e di impegni vari.
Nel caso dovesse sembrarvi strano, è normale.
Se doveste continuare a non dedicarvi del tempo, vi abituerete a pensarvi solo come “mamma e papà”, e invece voi siete molto di più.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Siamo una coppia omosessuale e ci nascondiamo
Buongiorno, chiedo un consiglio. Mi chiamo Diego e ho 54 anni. Io e il mio compagno stiamo insieme da quasi due anni, ci amiamo e credo che la nostra sia una relazione stabile. Fuori però, con le nostre famiglie e con alcuni amici, fingiamo ancora. Non ci presentiamo come coppia e non ci teniamo neppure per mano. Non voglio vivere nella paura, ma ho anche paura delle reazioni degli altri. Come si fa a uscire da questa zona grigia?

 

Caro Diego,
amarsi è già un atto coraggioso, e amarsi e mostrarsi per ciò che si è in un contesto che ancora ai giorni nostri è giudicante, è ancora più . La paura che descrivete è legittima. È quella di perdere legami, di deludere, di non essere più accolti. Eppure, vivere sempre a metà è una forma lenta di rinuncia.
Non si esce da una zona grigia con uno scatto, ma a piccoli passi, con scelte consapevoli, condivise, e con molta cura verso sé stessi.
Vi invito a porvi una domanda semplice: in quali contesti ci sentiremmo al sicuro a mostrarci come coppia? Iniziate da lì. Da un gruppo di amici sensibili, da un ambiente dove potete sentirvi visti senza giudizio.
E costruite da lì un senso di legittimità che non dipenda dallo sguardo degli altri, ma da ciò che provate l’uno per l’altro.
Ti propongo un esercizio: scrivete ciascuno una lettera all’altro dove raccontate cosa significa per voi potervi amare “alla luce del sole”. Non è un gioco romantico: è un modo per rimettere al centro la dignità della vostra storia.

 

Perché l’amore ha diritto di esistere. Sempre. E quando trova il coraggio di mostrarsi, anche solo un po’, accende luce in chi ancora cerca.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon

Famiglia

 

Mio figlio non mi parla più
Buongiorno dottoressa, sono una mamma disperata!! Mio figlio ha 13 anni e non mi racconta più nulla. Prima era un coccolone che non riusciva a starmi lontano, adesso è chiuso, mi risponde male e si isola sempre, mette cuffie alle orecchie, il cappuccio in testa e non vuole sentire nessuno, se non per quello che interessa a lui. Vedo chiaramente che qualcosa è cambiato, e non so più come avvicinarmici. Come posso fare?

 

Cara mamma,
l’adolescenza è un momento, che dura anni, in cui spesso l’amore cambia voce. Di sicuro non scompare ma si fa più silenzioso e più difficile da decifrare. I figli iniziano a cercare loro stessi fuori da casa, ma hanno ancora disperatamente bisogno di sapere che quel nido esiste, che resta lì, anche quando loro lo sfidano o negano di volerlo.
Se tuo figlio non parla più non significa che non abbia più bisogno di te, anzi, vuol dire che sta imparando a parlare a se stesso, e che ha bisogno che tu resti lì, a fare da eco quando serve.
Ti dò un consiglio: prova a lasciare un piccolo biglietto ogni tanto, anche solo una frase scritta su un foglietto da mettere nel suo zaino o sulla scrivania. Ad esempio “anche se oggi hai fatto finta di non vedermi, io ti ho visto, e ti voglio bene”.
Spesso a questa età le parole dette ad alta voce scivolano via, mentre quelle scritte riescono ad arrivare più in profondità.
Deciderà lui cosa farne, potrà rimanere nella sua tasca, sotto il cuscino, nella pattumiera. Ma sarà sicuramente arrivato al suo cuore.

 

Non forzare la sua porta chiusa ma rimani in ascolto, fai vedere che ci sei e che sei presente e affettuosa, nonostante il suo silenzio. Quando sarà pronto, tornerà a bussare alla tua.
Dott.ssa Sgorlon
Mia figlia si vede brutta e non so cosa fare
Dottoressa, io e mio marito abbiamo un problema con nostra figlia. Ha 15 anni e passa ore a guardarsi allo specchio con disprezzo. Dice che è grassa e brutta. Continua a dire di essere sbagliata e che se fosse se stessa non piacerebbe nessuno. Nessuno riesce a convincerla del contrario. Come possiamo aiutarla?

 

Cari genitori,
é difficile vedere una figlia bellissima rinchiudersi in uno sguardo che non le fa giustizia. Quello sguardo è stato probabilmente costruito dentro di lei lentamente, giorno dopo giorno, da messaggi nascosti, da paragoni o da standard irraggiungibili. Non sarà sufficiente un “sei bellissima” per modificare la convinzione.
La prima cosa da fare è non negare ciò che sente e che dice. Quando vi dirà “mi faccio schifo”, provate a rispondere “dev’essere molto difficile guardarti e sentirti così. Vuoi raccontarmi cosa senti?”.
Non cercate di convincerla subito del contrario ma provate a rimanere con lei nel suo dolore, non servirebbe a molto ripeterle che non è vero. Potete condividere una vostra storia e magari raccontarle un momento in cui anche voi non vi siete piaciuti, e come ne siete usciti. L’empatia spesso riesce a far crollare il muro del confronto.
E soprattutto fate attenzione alle parole che utilizzate, provate a cambiare il modo di esprimere il concetto di bellezza quando ne parlate in casa. C’è la bellezza interiore, non solo di quella estetica.

 

Ogni volta che parlerete bene del suo modo di sorridere, del modo in cui ascolta, del coraggio che ha nel fare qualsiasi cosa, le starete offrendo un altro specchio attraverso il quale guardarsi.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Non siamo d’accordo su come educare nostro figlio
Ciao Dottoressa, sono Pia e ho 42 anni. Non riesco a far capire a mio marito che è necessario avere una linea comune nell’educazione del nostro unico figlio. Io sono più severa e lui è più permissivo. Nostro figlio non sa a chi dare retta e noi litighiamo in continuazione. Come si fa a essere una squadra?

 

Cara Pia,
educare un figlio è come ballare insieme, è importante trovare il ritmo, accettare che si possano preferire passi diversi, ma bisogna avere chiari dove si vuole arrivare. Le differenze tra di voi non sono un problema e possono diventare la vostra ricchezza, se imparate a ben gestirle. Il problema nasce quando queste differenze vengono vissute come conflitto di fronte al figlio, che poi si trova in mezzo ingiustamente e perde i suoi riferimenti.
Ti propongo un esercizio: sedetevi insieme in un momento di tranquillità, e scrivete tre valori fondamentali su cui entrambi siete d’accordo, come ad esempio il rispetto, la sincerità, l’autonomia. Questi diventeranno i punti di riferimento di entrambi. Le regole possono cambiare in base al temperamento di ognuno di voi, ma se il messaggio di fondo è ben chiaro, vostro figlio proverà un senso di stabilità, e non confusione.

 

Non cercate di vincere l’uno sull’altra ma provate a costruire insieme, questo vi renderà forti e coerenti.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Non so come presentare il mio nuovo compagno ai miei figli
Buongiorno dottoressa Sgorlon, sono Cristina e le scrivo per un problema che non so come affrontare. Dopo la separazione, ho conosciuto una persona che mi fa stare bene, ma non so come dirlo ai miei figli. Ho paura che si sentano traditi o che pensino che voglia sostituire il loro papà. Come posso fare?

 

Cara Cristina,
riuscire ad amare di nuovo dopo una separazione è stupendo. Quando si hanno figli però è normale che ogni nuova relazione diventi anche un equilibrio da proteggere. La tua paura è assolutamente comprensibile, da una parte non vuoi ferirli e dall’altra non vuoi nemmeno nascondere la tua relazione.
Parti dal rispetto dei tempi, prima che accettino lui, devono sentirsi accolti da te, nelle loro possibili resistenze, paure o gelosie. Non forzarli a capire subito ma spiega con semplicità, ad esempio dicendo loro “ho conosciuto una persona che mi fa stare bene. Non voglio che sostituisca nessuno ma fa parte della mia vita, e vorrei che, con calma, possiate conoscerlo anche voi”. Potresti cominciare con un primo breve incontro in un contesto neutro, e osservare come reagiscono. Dai spazio alle loro domande, anche a quelle scomode, senza aspettarti che tutto fili liscio sin da subito. L’amore tra adulti e figli ha ritmi diversi che vanno sempre rispettati.
Ti propongo di scrivere una lettera ai tuoi figli in cui racconti quanto li ami e quanto siano importanti per te, anche se stai aprendo una nuova porta nel tuo cuore.

 

Molte volte ciò che temono è l’idea di perdere il loro posto nella tua vita, non tanto il cambiamento, ed è per questo che è fondamentale rassicurarli.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Mi sento sempre arrabbiata e non mi riconosco più

Da quando sono diventata mamma mi sento sempre stanca e nervosa. Amo i miei figli ma a volte vorrei solo sparire da tutto e da tutti, poi però mi sento in colpa e mi sembra di non valere più niente. 

Cara mamma,
non sei fatta di marmo ma di cuore, di carne e di ossa. Quanto doni di te ogni giorno? Tanto, e lo fai fino a svuotarti. Ciò che provi non è egoismo né cattiveria, ma un grido di stanchezza che merita ascolto, non sicuramente giudizio.
La società ti ha forse insegnato che per essere una “buona madre” bisogna essere sempre dolce, non ci si deve mai lamentare né arrabbiare? Questa è solo una favola. La realtà è che una madre è anche una donna, ha emozioni, bisogni e desideri. Se non ti prendi cura di quella parte di te, rischi di esplodere, di implodere o di spegnerti.
Ti propongo un gesto da fare rivolto a te. Scegli ogni giorno anche solo 10 minuti che siano davvero tuoi, durante i quali sei da sola. Non da “ritagliare”, ma da mantenere nel tempo come regola fissa. Ti serviranno per respirare, per camminare, per scrivere, per farti una maschera viso, per sentire chi sei oltre che la mamma dei tuoi figli. Loro hanno bisogno di una madre viva e felice, non perfetta.
Meriti di stare bene, non stancarti mai di ripeterlo a te stessa.

 

Sii gentile con te stessa, in fondo è la prima vita anche per te.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
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