Domande e risposte
Benvenutə in questo spazio di ascolto e di confronto, pensato per accogliere la tua voce.
Qui trovi un luogo virtuale in cui porre domande legate al benessere, alle relazioni e alle emozioni.
Risponderò nel pieno rispetto dei limiti della mia competenza da psicologa, senza ovviamente fornire diagnosi o indicazioni di tipo medico.
Se senti il bisogno di un chiarimento, di un confronto o anche solo uno spunto di riflessione, scrivimi. Ricorda che nessuna domanda è banale quando nasce da una nostra esigenza interiore.
Qui sotto trovi alcune tra le domande di chi mi ha già scritto.
Utilizza questo modulo per inviare la tua domanda (se non desideri scrivere il tuo nome puoi utilizzare un nickname). Troverai in questa pagina la tua risposta. Non inviare informazioni personali se vuoi chiedere un appuntamento, utilizza il modulo di contatto.
Nota: i nomi, le situazioni e talvolta i testi dei messaggi sono stati modificati per rispettare la privacy delle persone che hanno scritto.
Vita digitale
Mio figlio è sempre al cellulare
Buongiorno, mio figlio ha 13 anni e passa ore sul cellulare. Appena torna da scuola si chiude in camera e non riesco a farlo staccare nemmeno per cena. Come posso aiutarlo senza sembrare una rompiscatole?
Carissima/o,
il cellulare non è solo uno strumento: per molti ragazzi oggi è una finestra sul mondo, un’estensione del loro spazio relazionale. Quando si chiudono in camera con lo smartphone, non stanno necessariamente “isolandosi”, ma abitando un luogo diverso da quello fisico. È comprensibile che, da genitore, ti senti tagliata/o fuori o preoccupata/o.
Invece di opporti frontalmente, può essere utile provare ad entrare nel suo mondo. Chiedi con curiosità cosa sta guardando, cosa gli piace, chi segue. Dimostrare interesse senza giudicare, apre spesso più porte di mille divieti.
Ti do un consiglio: crea un piccolo “rituale offline” da condividere ogni giorno, anche solo 10 minuti dopo cena, in cui si parla o si fa qualcosa insieme. Non presentarlo come un “togliere il cellulare” perché, in realtà, è un aggiungere presenza. A poco a poco, anche lui sentirà il valore di questo tempo condiviso.
Un caro saluto
Dott.ssa Sgorlon
Nota: è un tema complesso e richiederebbe molto altro spazio: questo è uno tra gli argomenti che affrontiamo nei percorsi individuali, con le famiglie oppure nei corsi dedicati ai formatori ed agli educatori.
Mio figlio pensa ai videogiochi e trascura la scuola
Dottoressa, mio figlio ha 15 anni. Appena può si attacca alla console, per giocare studia di fretta e sempre svogliato. Ho provato a nascondergli il joystick ma poi si arrabbia. Cosa posso fare?
Il gioco non è il nemico dello studio: è un bisogno, una forma di espressione, e in certi momenti persino una valvola di sfogo. Ma è vero: se il gioco diventa totalizzante e lo studio passa in secondo piano, serve un equilibrio. E per costruirlo, è più efficace il dialogo che la punizione.
Prova a partire da una domanda sincera: “Cosa ti piace di questo gioco? Cosa ti fa sentire?” Entrando nel suo mondo, potrai poi costruire con lui un patto chiaro: tempo per il gioco, ma anche per i doveri. Non un premio, non una punizione. Solo un equilibrio sostenibile.
Ti suggerisco di partire da questa attività: aiutatelo a visualizzare la sua giornata. Una lavagnetta o un’agenda con blocchi orari (studio, pausa, gioco) può dare una forma visibile a quel tempo che oggi gli sembra “tutto uguale”. L’autonomia nasce anche da qui.
Un caro saluto
Dott.ssa Sgorlon
Scommetto, gioco alle macchinette e non riesco a fermarmi.
Ho 37 anni, e so che ho un problema. Quando sono nervoso o solo, mi ritrovo a scommettere o a giocare alle macchinette. Ho perso soldi, tempo, fiducia. Ma non riesco a fermarmi. Cosa posso fare?
Riconoscere di avere un problema non è un punto debole, è il primo passo per riprendere in mano la tua vita. Il gioco d’azzardo, soprattutto se ripetuto in momenti di stress o solitudine è più di un passatempo pericoloso e può trasformarsi in una dipendenza, che logora poco a poco relazioni, risorse, dignità personale.
Il rischio esiste, e va guardato in faccia ma non con vergogna: con consapevolezza perché le scommesse e le macchinette ti danno forse l’illusione di controllo, di scarico, di distrazione ma lasciano indietro ferite invisibili che, nel tempo, si sommano.
Se senti di non riuscire a fermarti, è il momento di chiedere aiuto ad uno specialista ma puoi iniziare con questo primo esercizio: inizia a mappare i tuoi automatismi. Prendi carta e penna (o usa il blocco note del telefono) e annota, per una settimana, ogni volta che compare l’impulso: che ora è? dove sei? cosa stavi pensando o provando un attimo prima? Questo esercizio non basta da solo a cambiare tutto, ma ti restituisce potere. Ti aiuta a intercettare il meccanismo prima che si attivi in automatico.
È però importante chiedere aiuto: non è un salto nel buio ma un ritorno a te stesso
Un caro saluto
Dott.ssa Sgorlon
Perché la mia vita non è come che vedo sui social?
Quando apro Instagram o Facebook vedo persone sempre felici, belle, in vacanza, con famiglie sorridenti. So che sui social si mente ma ugualmente mi sento stanca, frustrata, inadeguata. Cosa devo fare per non sentirmi così?
Sui social, vediamo vite ritoccate. Non la realtà, ma la sua versione più curata, filtrata, scelta. È naturale confrontarsi e sentirsi a volte inadeguati, ma ricordati: nessuno pubblica i momenti di solitudine, la fatica, il dubbio e il confronto è falsato in partenza.
Non è sbagliato usare i social: lo diventa quando ci lasciamo definire da ciò che vediamo, la chiave è sviluppare uno sguardo critico, senza rinunciare alla leggerezza che certe immagini possono offrire.
Vorrei darti un consiglio. Ogni tanto, chiediti dopo aver scrollato a lungo: “Come mi sento adesso?”. Se la risposta è “peggio”, fermati, respira e torna a fare qualcosa che ti nutra davvero. Se trovi difficile decidere cosa fare e torni sul tuo smartphone, allora prepara un elenco di piccole cose che corresti fare per te: una passeggiata, leggere quel libro fermo sul comodino da tempo, preparare un piatto speciale. Quando vorrai interrompere lo scrolling, potrai scegliere una attività alternativa da questo elenco. L’autenticità si coltiva anche così.
Un caro saluto
Dott.ssa Sgorlon
Non capisco niente di quello che i miei figli fanno sul telefono
Cara dottoressa, sono Elide. Mia figlia ha 16 anni, mio figlio 13. Sono sempre al telefono, ma quando chiedo cosa stanno facendo, rispondono sempre “niente”. Usano parole strane, nel telefono hanno cose che non conosco, messaggi che non capisco… Mi sento esclusa.
Carissim Elide,
ti capisco: il linguaggio digitale cambia alla velocità della luce e a volte sembra di parlare lingue diverse rispetto a quella usata dai nostri figli. Il problema, però, non è la tecnologia ma la mancanza di ponti: i tuoi figli non vogliono necessariamente escluderti… ma se sentono giudizio o distanza, si chiudono.
Non serve essere esperti di app ma bisogna diventare curiosi. Anche solo un “Mi fai vedere come funziona questa cosa?” può aprire un dialogo sorprendente e il telefono può diventare uno strumento per avvicinarsi, non solo per separarsi.
Puoi iniziare con questo consiglio: proponi, una volta a settimana, che siano loro a spiegarti una cosa “da telefono”, come se fossi tu quella che deve imparare. Ribaltare i ruoli crea connessione e fa sentire i tuoi figli ascoltati per davvero.
Un caro saluto
Dott.ssa Sgorlon
Voglio che mio figlio giochi di meno ai videogame ma non voglio rovinare il nostro rapporto
Buongiorno dottoressa, mio figlio di 12 anni passa ore davanti alla PlayStation ogni giorno. Ho provato a imporgli dei limiti, ma si arrabbia o si chiude in sé stesso. Mi chiedo se sto sbagliando qualcosa ma non so cosa fare. Come posso aiutarlo a stare meno tempo davanti allo schermo senza rovinare il rapporto con lui?
Carissimo/a,
è comprensibile sentirsi disorientati quando i nostri tentativi di protezione sembrano generare distanza o conflitto. Il tempo trascorso davanti agli schermi è oggi una delle sfide più diffuse nella relazione genitore-figlio, soprattutto in età preadolescenziale, quando il gioco online non è solo un passatempo, ma spesso una forma di socialità e appartenenza.
Il punto non è solo “togliere tempo allo schermo”, ma offrire alternative significative. Imporre regole rigide senza coinvolgimento può alimentare la resistenza, mentre costruire un patto educativo condiviso – dove entrambi, genitore e figlio, partecipano attivamente – favorisce la cooperazione.
Ti invito a provare a spostare il dialogo da “quanto tempo giochi?” a “che cosa ti piace di più di quel gioco?”. Mostrare interesse sincero può aprire uno spazio nuovo, dove lui si sente visto, non giudicato. Da lì, sarà più facile concordare insieme dei tempi equilibrati, magari usando strumenti come un’agenda settimanale con momenti dedicati ad altre attività (sport, uscite, tempo in famiglia).
Non stai sbagliando: stai cercando la strada del dialogo e ogni tentativo di comprendere è già un passo importante nella direzione giusta.
Devo installare una app che controlla il telefono di mio figlio?
Buonasera dottoressa, mio marito vuole installare un’applicazione per controllare il telefono di mio figlio. Ha 13 anni, e a volte neanche io mi fido delle chat o dei contenuti che guarda ma non voglio nemmeno invadere la sua privacy. Come posso regolarmi?
Carissima,
è una domanda che molti genitori si pongono, ed è legittimo voler proteggere i propri figli in un mondo digitale che spesso espone anche i più giovani a rischi reali. Tuttavia, il confine tra protezione e controllo è sottile, e si gioca tutto sul tipo di relazione che desideriamo costruire.
Installare un’app di monitoraggio senza dirlo può minare la fiducia reciproca. È invece più utile ragionare insieme sull’uso responsabile del telefono: spiegare i motivi delle proprie preoccupazioni, ascoltare il punto di vista di tuo figlio e, se necessario, concordare insieme alcune regole condivise (come l’orario d’uso o la visibilità dei profili social).
Non si tratta di “spiare”, ma di educare alla consapevolezza. Un adolescente ha bisogno di sapere che la fiducia si conquista, ma anche che l’adulto c’è, vigile e presente, non per controllare, ma per sostenere.
Chiedo a mia figlia di spegnere lo smartphone ma risponde che anch'io lo uso sempre
Buonasera dottoressa Sgorlon,
mia figlia passa tantissimo tempo al telefono ma, quando glielo dico, lei mi risponde che anche io sono sempre con lo smartphone in mano. Ma per me è diverso, io lo uso solo come passatempo. Cosa devo fare?
Carissimo/a,
il modo in cui noi adulti utilizziamo la tecnologia è il primo messaggio che passa, ben prima delle parole. I figli osservano, e ciò che vedono ha un impatto diretto su come interiorizzano le regole.
Essere credibili non significa essere perfetti, ma coerenti. Può essere utile ammettere apertamente che anche noi fatichiamo a staccarci dallo schermo, e usare questa consapevolezza come punto di partenza per un impegno comune: “Stacchiamo entrambi il telefono durante la cena?”, oppure “Domenica proviamo una giornata no-screen?”. Sono piccoli gesti che dimostrano coerenza e costruiscono fiducia.
Educare al digitale parte da noi: non serve colpevolizzarsi, ma essere pronti a rimettersi in gioco.
Un caro saluto
Dott.ssa Sgorlon
A tavola tutti usano il cellulare
Cara dottoressa, sono Luana. A volte a tavola siamo tutti davanti a uno schermo: mio marito guarda il cellulare, i ragazzi giocano e io finisce che mi metto a leggere i messaggi. Poi ci lamentiamo di non parlare più. Come possiamo ritrovare un po’ di presenza?
Cara Luana,
la scena che descrivi è ormai comune in moltissime famiglie. Non c’è colpa ma un’abitudine che si è radicata lentamente, senza che nessuno se ne accorgesse davvero. È importante essere consapevoli che i ragazzi vivono il mondo digitale in maniera differente da come lo viviamo noi ma è importante per tutti riportare l’attenzione al presente, a partire da piccole scelte quotidiane.
Ad esempio, potete stabilire insieme dei “momenti digital-free”, come la cena o un’ora serale in cui spegnere tutti i dispositivi. Non per obbligo, ma come rituale di connessione familiare. Potreste anche creare uno spazio “fisico” per lasciare i telefoni durante questi momenti, magari con una proposta ludica o conversazionale per sostituire l’abitudine dello schermo.
Non si tratta di demonizzare il digitale, ma di ritrovare l’equilibrio. La qualità delle relazioni nasce dalla presenza autentica, e ogni gesto che va in questa direzione è già un cambiamento importante.
Un caro saluto
Dott.ssa Sgorlon
Le app per il controllo, come Family Link
Dottoressa, sono una madre single e ho attivato Family Link per monitorare il telefono di mio figlio di 11 anni. Ma ora si lamenta continuamente: dice che mi comporto da ‘poliziotta’. Però io ho paura, se lui ha bisogno come faccioad essere resente?
Carissima,
Family Link può essere uno strumento utile ma va inserito in un progetto educativo, non usato come unica forma di controllo. Quando un figlio percepisce solo il lato punitivo del monitoraggio, si rompe il patto di fiducia e quello che nasce come protezione può diventare fonte di conflitto.
La chiave sta nella trasparenza: spiega apertamente perché hai scelto di usarlo, ascolta le sue reazioni e cerca, se possibile, di stabilire delle regole condivise. Per esempio: “Ti lascio più libertà nel pomeriggio se prima mi mostri come usi le app” oppure “Proviamo a disattivarlo per una settimana, ma con l’impegno di parlarne ogni sera”.
Family Link non deve sostituire il dialogo, ma integrarsi ad esso. L’obiettivo non è controllare per sempre, ma accompagnare verso l’autonomia digitale.
Mia figlia è ossessionata dai cuori e dai follower
Buongiorno, sono Marco. Ho una figlia di 14 anni che controlla in continuazione i like su Instagram e TikTok. A volte cancella i post se non ottiene abbastanza cuori. Le ho detto che non contano, ma lei non mi ascolta, sembra ossessionata. Cosa posso dirle? Devo preoccuparmi?
Caro Marco,
quella dei like è diventata una vera e propria unità di misura dell’autostima per molti adolescenti. Nella fase della crescita in cui l’identità si costruisce attraverso lo sguardo degli altri, il “mi piace” digitale diventa la conferma di valere, essere visti, essere accettati.
Non si tratta di vanità superficiale, ma di un bisogno più profondo: appartenere, essere riconosciuti, sentirsi parte di qualcosa. Il problema nasce quando il numero di like inizia a determinare il valore percepito di sé, portando ansia, insicurezza e una dipendenza dal giudizio altrui.
Il tuo ruolo, come genitore, non è quello di svalutare ciò che lei vive come importante, ma di affiancarla nella costruzione di un valore personale che non dipenda solo dallo schermo. Lodane i talenti, incoraggiala nelle relazioni reali, proponi esperienze che la aiutino a sentirsi vista per ciò che è, non per quanti cuori ottiene.
Anche nel mondo digitale, serve lo stesso sguardo che offriamo nella vita reale: uno sguardo che dice “ti vedo, e vali anche quando non ti applaude nessuno”.
Adolescenza
Mi sento trasparente
Ciao dottoressa, sono Giulia. Ti scrivo perché io non esisto. A scuola sono gentile ma nessuno mi cerca mai. Succedono le cose e io non le so mai. Nessuno mi prende in giro ma forse sarebbe meglio. Ho 15 anni, se fossi bella avrei un sacco di amici come le altre. Ma io voglio essere me stessa e avere amici, non essere sempre messa da parte. Sono stanca di soffrire così.
Cara Giulia,
sentirsi invisibili è una delle esperienze più dolorose per chi ha tanto da offrire come nel tuo caso. Ti senti come se il tuo spazio nel mondo non fosse riconosciuto come vorresti.
Ciò che provi è comprensibile perché siamo esseri che si relazionano, che hanno bisogno di essere visti, ascoltati e cercati. Ricordati però che il valore di una persona non si misura in base a quante persone la cercano ma da ciò che quella persona ha dentro. Il pensiero che hai scritto è di una persona profonda e sensibile.
Forse ora ti trovi in un contesto in cui non ti rispecchi alla perfezione, e non per colpa tua, ma perché a volte il mondo intorno a noi non è pronto ad accogliere chi non si conforma ai modelli e ai trend. Prova a coltivare quello che ti appassiona e che ti fa sentire viva. Vedrai che, magari proprio in questi ambiti, incontrerai chi vedrà in te proprio quella luce che adesso sembri vedere solo tu, e sarà stupendo.
Ti propongo un piccolo esperimento (è una delle cose che a volte suggerisco anche nel mio studio): per una settimana scegli di fare intenzionalmente ogni giorno un piccolo gesto che sia “fuori copione” rispetto alle tue abitudini, qualcosa che non fai di solito. Ad esempio alza la mano in classe anche se non sei sicura al 100% della risposta che vuoi dare, prova a fare una domanda a qualcuno a cui non chiederesti nulla, o indossa qualcosa che ti faccia sentire speciale. Fallo anche se ti sembra strano o se ti mette un po’ a disagio. Ricordati di annotare cosa è successo e come ti sei sentita in quei momenti.
Sembra un piccolo passo, ma spesso è proprio il movimento che arriva a rompere l’invisibilità percepita.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Non so più se siamo davvero amiche
Buongiorno dottoressa, ho 14 anni. Avevo una migliore amica ma ultimamente è cambiata. Davanti agli altri fa battute su di me e racconta cose mie private come se fosse uno scherzo. Io le ho detto che ci resto male, ma lei dice che sono esagerata. Poi magari mi ignora per giorni e quando le serve qualcosa torna a cercarmi. Quando siamo da sole sembra tutto normale ma appena ci sono gli altri non mi guarda più, quindi non so se è ancora mia amica ma io non voglio rimanere da sola. Le voglio bene ma mi fa stare male.
Carissima,
quello che mi racconti è più frequente di quanto tu possa pensare, anche se questo non lo rende di certo meno doloroso.
Capita che le relazioni all’inizio siano molto belle, come la tua che è nata con complicità, ma poi col tempo ci facciano soffrire. In questi casi è importante essere onesti con noi stessi e chiedersi se quel legame ci fa ancora stare bene.
È assolutamente possibile volere bene a qualcuno e allo stesso tempo sentire che qualcosa non funziona più. I sentimenti non spariscono all’improvviso ma col tempo possono cambiare. E quando cambiano i sentimenti, spesso cambiano di conseguenza anche i rapporti.
L’amicizia vera non dovrebbe farci sentire mai sotto esame o in difetto. Non sei tu quella “troppo sensibile”, sei semplicemente una persona che sta cercando di capire cosa le fa bene e cosa no, questo è un segnale di maturità, non di fragilità.
Forse non puoi controllare come lei si comporta, ma puoi decidere come stare in quella relazione. A volte proteggersi significa anche prendere le distanze, almeno per un po’ per provare così a capire cosa vuoi davvero.
Ti propongo un piccolo esercizio (è una strategia che suggerisco spesso quando ci si sente confusi in una relazione): scrivi una lettera alla tua amica, senza però consegnargliela. Metti nero su bianco in maniera assolutamente sincera, tutto quello che vorresti dirle, ad esempio cosa ti ha ferita, cosa ti manca e cosa vorresti cambiasse. Prova a rileggerla dopo qualche giorno, ti aiuterà a capire meglio cosa provi davvero, e se c’è ancora spazio per costruire o se è tempo di lasciar andare.
Guardarci da fuori aiuta spesso a vedere più chiaramente la situazione che viviamo. Nel caso ti accorgessi che ciò che ricevi non ti fa crescere ed essere serena, allora forse non stai perdendo un’amicizia, ma stai facendo spazio per qualcosa di più importante per te.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Voglio essere perfetta
Ho 16 anni e da fuori sembra che tutto vada bene perché ho dei bei voti, sono educata e faccio sport. Dentro però mi sento vuota e ho sempre paura di deludere qualcuno. Cerco di essere come gli altri si aspettano che io sia, ma così mi sembra di recitare un ruolo ogni singolo giorno della mia vita. Quando resto sola crollo ti ho delle crisi di pianto fortissime. Ho paura di provare a smettere di essere perfetta, perché ho paura che nessuno mi vorrebbe più bene.
Carissima,
l’idea che per essere amata si debba essere perfetta, senza sbavature, sempre forte, è una trappola purtroppo molto comune della nostra società. L’amore vero non si conquista però con la perfezione, si merita semplicemente perché si esiste. Tu meriti affetto, ascolto e comprensione anche nei tuoi momenti più fragili e non solo quando riesci in tutto.
Cercare di seguire un copione scritto da altri, adulti e coetanei, giusto per non deluderli e per non perdere la loro approvazione, è un peso enorme da portare addosso, soprattutto alla tua età. Il vuoto che senti dentro e quella stanchezza che ti assale quando rimani sola, sono probabilmente la modalità in cui la parte di te più vera ti sta chiedendo di essere finalmente ascoltata.
Ti propongo un esercizio (è una pratica che a volte consiglio quando ci si sente incastrati nell’immagine che gli altri hanno di noi): prenditi una settimana, e ogni sera scrivi tre cose che hai fatto durante quel giorno solo per te stessa, e non per essere brava, non per essere lodata da qualcuno e neanche per evitare un rimprovero. Anche gesti piccoli come un pensiero che hai avuto, una scelta che ti ha fatto sentire libera dentro o una cosa che ti ha fatto sorridere. Rileggile solo alla fine della settimana, tutte insieme.
Non devi essere tutto per tutti, devi cominciare ad essere tu, solo per te stessa.
Un caro saluto,
Dott.ssa Sgorlon
Mi faccio mille film e poi ci resto male
Vorrei reagire, ma la paura mi blocca
Non riesco più a studiare
Mi vergogno del mio corpo
Nessuno si accorge che sto male
Quando sbaglio mi sento un fallimento
Non vorrei essere gay
Non so come aiutare la mia amica che sta male
Relazioni di coppia
Non ci tocchiamo più
Litighiamo sempre per cose inutili
Ho paura di non amarlo più
Non riesco a perdonare il tradimento
Da quando è nato nostro figlio, non siamo più una coppia
Siamo una coppia omosessuale e ci nascondiamo
Famiglia
Mio figlio non mi parla più
Mia figlia si vede brutta e non so cosa fare
Non siamo d’accordo su come educare nostro figlio
Non so come presentare il mio nuovo compagno ai miei figli
Mi sento sempre arrabbiata e non mi riconosco più
Da quando sono diventata mamma mi sento sempre stanca e nervosa. Amo i miei figli ma a volte vorrei solo sparire da tutto e da tutti, poi però mi sento in colpa e mi sembra di non valere più niente.